Quel volto lo avevo già visto: un ragazzo dallo sguardo vivo e portato al sorriso, spontaneamente aperto verso gli altri, sobrio ma curato nell'abbigliamento e nell'aspetto.
“Oh, ma guarda chi si vede!” esclamò.
“Il professore! Vi ricordate? Sul campo di calcetto giocavo anch'io con voi. C'era pure vostro fratello... e quel dottore un po' grassottello, come si chiamava? Non ricordo il nome... Va bé, non fa niente! Eravate forti, eh!”
“Sì, mio fratello in attacco era molto bravo!”
“Ma pure voi ve la cavavate benissimo in difesa!”
Adesso avevo focalizzato: era uno di quei ragazzi che ritrovavamo sul campo, smaniosi di rimpiazzare, giocando gratis, qualcuno degli abituali compagni di calcetto che, di volta in volta, non si presentava alla consueta e attesissima partitella del giovedì sera.
Si avvicinò alla macchina e, compiendo un giro completo attorno ad essa, osservò attentamente la carrozzeria, poi concluse:
“Bisogna sostituire il parafango anteriore destro e quello posteriore. Penso che potremo averli entro lunedì pomeriggio. D'accordo? Bene! Adesso possiamo accomodarci dentro per inoltrare l'ordine.”
Ero insieme a mio figlio che, nei giorni precedenti, si era adoperato a ricercare su internet quei pezzi danneggiati della Smart, venendo in contatto col giovane appena incontrato.
Mentre ci avviavamo, aggiunse:
“Io sono stato anche alunno di sua moglie, si ricorda? Glielo dissi! La professoressa M..., quant'era brava! Ma io che le facevo passare!... Ero il più terribile della classe, si ricorderà sicuramente di me! Come ci voleva bene, però!”
Nel frattempo, entrammo in casa. L'arredo del soggiorno era semplice ed essenziale: un divano, una poltrona, un mobile a vetrina. Su un lato, una piccola scrivania con il computer.
“Questo al momento è il mio ufficio" precisò.
"Ho dovuto cedere il magazzino che avevo preso in affitto perché il proprietario pretendeva continui aumenti, e così ho preferito restituirgli il locale. Adesso mi sto arrangiando qui, in attesa di trovarne un altro. Ora, però, veniamo a voi!”
Si rivolse a mio figlio:
“Luigi, quanto avevamo stabilito? Centotrenta euro? Facciamo centodieci, va! Visto che conosco tuo padre e poi sei anche il figlio della mia professoressa... Ancora non ci posso pensare, il figlio della professoressa! Ah, che grande tua madre! Vorrei tanto rivederla!”
Poi, facendo cenno al cellulare, aggiunse:
“Perché non la chiami? Così me la fai salutare!”
Luigi compose il numero e, dopo aver chiarito alla madre le circostanze e il motivo della chiamata, gli passò il telefono.
“Professoré, sono Salvatore..., vi ricordate? Stavo seduto all'ultimo banco insieme a Pasquale. Eh sì, facevamo un bel po' di casino! Vi ricordate quando ci portaste dal preside perché avevamo chiuso quei compagni dentro lo sgabuzzino? Ne ero sicuro! Ah sì, quello... voi non lo sapete, purtroppo adesso sta in carcere. Quanto mi è dispiaciuto! Un così bravo ragazzo... Silvia? Pensate che è la mia compagna e tra un po' ci sposeremo. Grazie, grazie! Va bene, adesso vi saluto. È stato un piacere! Perché non venite pure voi lunedì insieme a Luigi? Mi farebbe davvero molto piacere rivedervi! Ok, vi saluto. Di nuovo, arrivederci!”
Finita la conversazione, restituendo il telefono, aggiunse:
“Senti, Luigi, se porti pure tua madre lunedì, ti faccio risparmiare altri dieci euro, perché sarei davvero felice di rivederla!”
A questo punto si accomodò alla postazione del computer e, facendo scorrere diverse videate su cui si intravedevano parti di automobili e pezzi meccanici, cliccò di qua e di là sulle icone. Alla fine, confermò che i pezzi di ricambio erano disponibili e si potevano avere con certezza entro lunedì pomeriggio. Restava solo da versare un modesto acconto, pari al 30% dell'importo.
“Adesso preparo la ricevuta” esclamò, e si accinse a scriverla. Poi, dopo avercela letta, la firmò e la diede a Luigi, mentre io gli consegnavo trenta euro.
Tornammo a casa. Tutto era andato secondo le aspettative. Si poteva riparare la Smart con una modica spesa. Io, però, ero sovrappensiero. Riconsideravo il lungo soliloquio del giovane e quella sua esuberanza cerimoniosa e accattivante che, adesso, cominciava a sembrarmi un po' sopra le righe.
“Papà, a cosa stai pensando?” mi domandò Luigi.
“Penso che ci ha fregati” risposi io.
“Come, ci ha fregati? E allora come faceva a conoscere tutti i particolari del calcetto? E le storie della scuola di mamma?”
“No, quello è tutto vero!” precisai. “Ma si è servito di quelle circostanze per rendersi credibile e carpire la nostra fiducia.”
“E cosa te lo fa pensare?”
“Ho riflettuto sul prezzo già ridotto rispetto agli altri rivenditori e poi sugli ulteriori sconti che elargiva spontaneamente pur di concludere l'affare e assicurarsi l'acconto... Perché, in fondo, credo che forse era quello che gli interessava.”
Luigi, a quel punto, rivelò che anche lui aveva avuto qualche dubbio, e che ora, dopo le mie parole, ne era ancora più convinto. Con un certo impeto, esclamò:
“Adesso torno subito lì e mi faccio restituire i soldi!”
“Lascia stare” feci io. “Aspettiamo lunedì! Può darsi che ci sbagliamo!”
Ma ormai avevo la visione chiara delle cose e sapevo di non sbagliarmi.
Il lunedì, Salvatore, ripetutamente chiamato al cellulare, si negava sistematicamente.
Al telefono di casa rispose un padre angosciato, che sospirò esasperato che non ne poteva più di quel "figlio sbandato, buono solo a combinare guai e a mettersi nei pasticci".
“Una denuncia? Magari! Qualche giorno di carcere è proprio quello che ci vorrebbe per fargli mettere la testa a posto e farlo tornare sulla retta via!” esclamò.
A quel punto fece una pausa e poi aggiunse con amarezza:
“Così, almeno, eviterà di cacciarsi, prima o poi, in qualche brutto guaio.”
